Intervista a Sergio Germano, nuovo presidente del Consorzio di Tutele Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani.

Sergio Germano è il nuovo presidente del Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani, il prestigioso ente a cui sono associate quasi 600 aziende vitivinicole che producono oltre 66 milioni di bottiglie nei 10mila ettari di vigneti divisi in 9 denominazioni tra Doc e Docg: Barolo, Barbaresco, Dogliani, Dolcetto di Diano d’Alba, Barbera d’Alba, Langhe, Dolcetto d’Alba, Nebbiolo d’Alba e Verduno Pelaverga.

Sergio Germano succede a Matteo Ascheri, che era stato alla guida del Consorzio per i due precedenti mandati. Nato nel 1965 in una famiglia di lunga tradizione viticola, il nuovo presidente è titolare a Serralunga d’Alba dell’azienda Ettore Germano, che conduce insieme alla moglie Elena e ai figli Elia e Maria. Una realtà produttiva che ha ottenuto risultati importanti non solo nei vini più classici come il Barolo o la Barbera d’Alba, ma a prendo gli orizzonti anche a vitigni bianchi come Nascetta, Chardonnay e Riesling e dedicandosi con successo agli spumanti come l’Alta Langa e quelli a base Nebbiolo.

«Sono onorato e orgoglioso di aver ottenuto la fiducia dei miei colleghi e amici produttori – è stato il suo primo commento dopo l’elezione avvenuta a maggio -. Ho deciso di mettermi a disposizione del nostro grande territorio con umiltà e spirito di servizio».

Quali sono gli obiettivi della sua presidenza?

«Credo molto nel gioco di squadra e nella forza delle nostre colline: il mio mandato sarà caratterizzato da un dialogo diretto con tutti, dal Consiglio d’Amministrazione alla base produttiva, in primis. Il Consorzio è un organo molto importante e dopo anni da consigliere ho intenzione di cogliere questa opportunità per essere molto concreto e incisivo. Sono convinto che si vinca solo dialogando e restando uniti, senza stravolgimenti, ma con l’ambizione di essere contemporanei nella continuità, adattandosi ai mutamenti degli scenari. Io non sono un rivoluzionario, mi piace il basso profilo, pensare alle cose pratiche e agli aspetti tecnici, contando molto sulla collaborazione di tutti i consiglieri».

Con eventi come Grandi Langhe a Torino e il Barolo & Barbaresco World Opening a New York, il Consorzio negli ultimi tempi ha spinto molto sul tema della promozione. Continuerà a essere un elemento centrale?

«La promozione è senza dubbio importante e continueremo a supportarla, con l’obiettivo di farla ulteriormente crescere. Portare Grandi Langhe a Torino è stata una grande intuizione e proseguiremo su questa strada, così come continueremo ad andare in giro per il mondo a far conoscere le nostre denominazioni. Ma dovremo impegnarci anche a far venire il mondo da noi, sulle nostre magiche colline».

Sul fronte della tutela, invece, il Consorzio negli ultimi mesi ha messo in campo molte proposte, alcune delle quali hanno creato accese discussioni tra i produttori. Come si sono concluse le richieste di modifica del disciplinare avviate a inizio anno?

«I produttori hanno detto sì alla limitazione della zona di imbottigliamento per Barolo e Barbaresco, che d’ora in poi dovrà coincidere con l’area di vinificazione. È una decisione importante: i disciplinari redatti sessant’anni fa non ponevano limitazioni all’imbottigliamento, in quanto era impensabile all’epoca trasportare il vino a lunghe distanze, mentre ora tale possibilità è ipoteticamente consentita in tutto il mondo. Quindi, considerata l’attenzione crescente che Barolo e Barbaresco allo stato sfuso stavano ottenendo su alcuni mercati internazionali, abbiamo scelto di correre ai ripari e salvaguardare le denominazioni sia da un punto di vista tecnico che commerciale. L’iter non sarà comunque breve: dopo l’approvazione dei produttori, la modifica deve essere presentata prima a Torino, poi a Roma e infine a Bruxelles. L’obiettivo potrà essere raggiunto non prima del 2025».

Un’altra proposta, invece, ha creato molte discussioni: eliminare il divieto di impiantare vigneti di nebbiolo atti a Barolo o Barbaresco nei versanti collinari esposti al Nord. Come è andata a finire?

«I produttori hanno detto no a questa proposta ed era ormai chiaro da mesi che il quorum non sarebbe stato raggiunto. Si tratta di un argomento delicato, che riguarda sia la storicità sia l’immagine stessa delle due denominazioni. Per questo credo sia stato giusto evitare pericolose fughe in avanti, concedendoci un tempo maggiore di approfondimento. Il tema del cambiamento climatico è comunque sul tavolo e non può certo essere ignorato. Nessuno ha la sfera di cristallo, ma occorre agire con coerenza e serietà, inseguendo una sostenibilità vera e non solo di facciata. L’attenzione quindi sarà rivolta ad implementare la ricerca scientifica su tematiche specifiche vitivinicole in collaborazione con università ed enti specializzati».

È preoccupato per la crisi che sembra aver investito i vini rossi a livello internazionale?

«Se dicessi di no, peccherei di presunzione e di miopia. Dobbiamo fare attenzione a tutto, anche ai segnali che arrivano da lontano. Tuttavia, è anche giusto dire che la nostra è una produzione ridotta, in grado di stare sul mercato puntando sul suo grande prestigio e tenendosi fuori da certe dinamiche che non ci appartengono. Le analisi semestrali o annuali possono indicare qualche scostamento, ma per i nostri vini contano soprattutto le tendenze di lungo periodo e per ora non vedo particolari segnali d’allarme».

del Cav. Roberto Fiori