Un vino bianco importante, di spiccata personalità territoriale, nelle terre dei grandi rossi a base nebbiolo, Barolo su tutti? Fino a qualche anno fa, la sola possibilità sarebbe sembrata un’ipotesi quasi fantascientifica. Ma oggi quel vino c’è, esiste: è la Nascetta, un bianco con il pedigree di Langa, che fa sempre più parlare di sé.

Proviamo a ripercorrere la storia della sua nascita. O, forse, sarebbe meglio dire «rinascita»: perché se la sua affermazione sul palcoscenico enoico appare un fatto piuttosto recente, in realtà le sue radici sono più antiche di quanto ci si possa aspettare.

Le prime tracce probanti dell’esistenza langarola del vitigno risalgono alla seconda metà degli anni Settanta dell’Ottocento. Tra i primissimi a parlare della «anascetta» è Giuseppe di Rovasenda, uno dei più grandi ampelografi europei dell’epoca (e non solo): prima lo cita (in maniera assai laconica, a dire il vero) nel suo monumentale Saggio di una ampelografia universale (1877); poi, due anni dopo, in un articolo intitolato «Elenco e qualità dei vitigni coltivati nella provincia di Cuneo» (Bullettino ampelografico, vol. XI, 1879), ne dà una descrizione più ampia: «Uva bianca; vitigno assai produttivo, maturazione ordinaria, vino dolce, serbevole, coltivato al colle». Rovasenda lo dice diffuso in buona quantità soprattutto nel Comune di Novello, meno a Cherasco e Narzole.

Insomma, il ghiaccio è rotto. Della «anascetta» scriverà in maniera ben più eloquente Lorenzo Fantini nella sua storica Monografia sulla viticoltura ed enologia nella provincia di Cuneo (1879, nuova ed. 1894). Ecco la nascetta per Fantini:

Questo vino è quasi esclusivamente prodotto nel territorio di Novello. Riesce di colore alquanto più chiaro del Moscato, ma è di finezza uguale. La sua bontà è dovuta unicamente alla natura che fornisce un’uva squisita. […] Alcuni tentarono con le Nascette la fabbricazione di un vino bianco sul genere dei vini del Reno ed ottennero tecnicamente dei soddisfacenti risultati, ma economicamente onerosi, per cui rinunciarono agli studi di perfezionamento e così dal far concorrenza allo Schloss Johannisberg! […] L’Anascetta, vitigno che produce uva molto fine, specialmente se in situazioni ben soleggiate. È coltivata in buona quantità sul territorio di Novello, ove frutta egregiamente bene. […] L’uva è squisita di gusto e dà vino eccellente.

Insomma, Fantini si spinge là dove Rovasenda non aveva osato e preconizza per il nostro vitigno un grande potenziale, giungendo a paragonarlo ai mitici vini del Reno. Un raffronto che piace molto anche a Giovanni Gagna, corrispondente da Monforte dei celebri Atti della giunta per la inchiesta agraria sulle condizioni della classe agricola, vulgo Inchiesta Jacini: «Dalle uve anascette, puossi ancora ottenere vero vino del Reno quando se ne lasci fermentare a lungo il mosto, e lo si invecchi con speciali cure nelle botti».

Ma poi? Poi segue un secolo di oblio, di buio, di silenzio. Sulla (a)nascetta sembra calare il sipario, e anche i viticoltori di Langa (e di Novello in particolare) non paiono troppo affezionati a quest’uva pur così tradizionale e promettente. Qualche irriducibile che la coltiva, però, c’è ancora. Ed è così che, il 7 settembre 1991, il barolista Elvio Cogno accompagna Armando Gambera, grande conoscitore e cultore della terra e delle tradizioni di Langa, ad assaggiare un vino a base nascetta da uno degli ultimi produttori: Franco Marengo dei Ciocchini (La Morra). Quell’incontro e quella degustazione segneranno un nuovo inizio. Gambera è colpito da quel vino e scrive un articolo per parlarne. Rileggiamo le sue parole:

Di quella manciata di vini esistenti ai Ciocchini ho assaggiato anche l’ultimo prodotto vinoso: un Nascetta 1983, ultima bottiglia di una felice, ma esigua serie. Pur nella struttura un po’ debole, il vino incuteva rispetto: delicato il sentore di iris e di fiori d’acacia, mentre al palato prorompeva con sicurezza il miele. Franco Marengo di quell’ultima vendemmia ne aveva vinificato in purezza una damigiana, ottenendone un vino dolce e tranquillo. Ma c’è chi scommette che in Novello, in un infernotto lontano da sguardi indiscreti, riposi ancora qualche altra bottiglia, questa volta di vino secco e frizzante…

Il dado è tratto. Sospinti dalla convinzione di Elvio Cogno, a Novello capiscono che hanno in mano qualcosa di davvero interessante. Il 22 agosto di quel fatidico 1991 il Comune di Novello incarica Mario Ubigli e Carlo Arnulfo di predisporre la documentazione scientifica necessaria all’inserimento della nascetta nel Registro Nazionale delle varietà di vite, in modo da ottenere l’autorizzazione alla coltivazione. L’iter scientifico si concluderà nel luglio del 2000 con l’invio della relazione tecnica del CNR di Torino (professor Franco Mannini) alla Regione e poi al ministero dell’Agricoltura. Nel 2002 verrà ufficializzata la DOC Langhe Nascetta; mentre occorrerà attendere la Gazzetta ufficiale del 29 gennaio 2010 per avere l’autorizzazione a citare in etichetta la dizione «Langhe Nascetta del Comune di Novello» o «Nascetta del Comune di Novello», così sancendo la storica vocazione di quel Comune nei confronti del nostro vitigno.

Potrebbe sembrare una storia come tante altre, di recupero di un antico vitigno tradizionale: l’Italia è piena di questi tesori ampelografici ed enologici nascosti. Ma qui, nelle terre del Barolo, l’emergere di un grande vino bianco da vitigni tradizionali è davvero un fatto insperato, da ricordare. Oggi, sono più di 50 gli ettari coltivati a Nascetta; e se la parte del leone la fa Novello, com’è naturale, piccoli e grandi produttori l’hanno piantata a La Morra, Serralunga, Castiglione Falletto, Dogliani, Barolo, Trezzo Tinella, Monforte e su, fino a Santo Stefano Belbo e Carrù… Insomma, anche le Langhe hanno oggi il loro grande bianco autoctono: assaggiatelo, se potete: oggi è molto più facile di trent’anni fa. Sentirete nel bicchiere il vino di un brillante vitigno semiaromatico: al naso note agrumate e di frutti esotici, poi di erbe aromatiche; col tempo emergeranno propoli, miele, cera d’api… E lasciatevi titillare il palato da un sorso sapido, vibrante, che spesso finisce con una scia di salvia e rosmarino. Lo potrete bere giovane, per godere della sua insolente e raffinata freschezza; ma, nelle annate migliori, lasciatene invecchiare qualche bottiglia: nel tempo proverete l’emozione che sa dare un grande bianco nato in una terra di immensi vini rossi. Prosit!

del Presidente AIS e della Commissione di Degustazione dell’Ordine, Mauro Carosso